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La storia letta sui giornali dell'epoca
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All'alba del 6 giugno 1944, 5000 navi alleate scortate da 700 unità da guerra comparvero davanti alla costa normanna.
I Tedeschi, che si aspettavano l'attacco altrove, non poterono impedire agli Angloamericani di sbarcare e di attestarsi saldamente.
Per il Terzo Reich fu il principio della fine.
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Le forze di sbarco alleate dirigono verso la costa francese: ha inizio "il giorno più lungo". |
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Non appena seppe, negli ultimi giorni del 1943, di essere stato designato quale comandante in capo dell'operazione "Overlord", ossia dello sbarco nella Francia occupata dai Tedeschi, Dwight David Eisenhower si preoccupò di formare uno Stato Maggiore di suo gradimento. Gli piaceva lavorare con una squadra affiatata e la necessità di far cooperare Americani e Inglesi, usciti da scuole e tradizioni diverse, esigeva che almeno gli uomini si capissero bene. Come vice scelse il maresciallo dell'aria inglese Tedder, come capo di Stato Maggiore il fidatissimo Walter Bedell Smith. Le truppe americane sul campo sarebbero state guidate dal generale Omar Bradley, mentre per il comando elle truppe inglesi gli sarebbe piaciuto avere ai suoi ordini Alexander che, secondo lui, era il miglior stratega inglese e per di più cordiale e socievole. Ma Churchill decise che Alexander rimanesse in Italia e così Ike dovette prendersi per collaboratore lo spigoloso Montgomery. L'ammiraglio britannico Ramsay avrebbe condotto le forze navali mentre il generale statunitense Spaatz l'aviazione.
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Come zona di sbarco fu scelta la Normandia. Un progetto approntato prima che Eisenhower assumesse, in Inghilterra, la responsabilità dell'attacco dal mare alla fortezza europea della Germania prevedeva che la testa di sbarco fosse attuata su un fronte di tre divisioni. Eisenhower le portò a cinque, più tre di immediato rincalzo: decisione, la sua, che richiedendo mezzi molto superiori a quelli inizialmente previsti, impose la rinuncia allo sbarco sussidiario nella Francia meridionale (operazione Anvil). Inoltre, sempre per effetto del rafforzamento delle unità impiegate inizialmente, la data di "Overlord" dovette essere spostata da maggio a giugno.
Tre erano a quel punto i giorni utili per l'attacco: il 5, il 6 e il 7 giugno. Dovevano infatti concorrere nel D-Day (quello che sarebbe diventato per antonomasia "il giorno più lungo") tre circostanze favorevoli: una marea relativamente bassa affinché gli ostacoli sulla spiaggia, da rimuovere prima dell'impiego in massa delle truppe, affiorassero; un'alba luminosa, con quaranta minuti di luce per gli ultimi bombardamenti aerei e per i cannoneggiamenti della flotta prima dell'attacco terrestre; la luna, durante la notte, per dare qualche visibilità ai lanci delle divisioni aerotrasportate. Ovviamente le condizioni del mare non dovevano essere proibitive. Persi questi tre giorni sarebbe stato necessario un rinvio di due settimane. Troppo lungo per mantenere il segreto.
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Si completano i pontili d'emergenza, costituiti da appositi cassoni di cemento e da vecchie navi portate ad arenarsi sui bassi fondali. |
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Non è che i Tedeschi ignorassero l'imminenza dello sbarco (ne erano certi), ma non sapevano esattamente dove questo sarebbe avvenuto. Il vero capolavoro di Overlord è stato realizzato dai servizi segreti alleati che riuscirono a mantenere ferma nel comando tedesco la convinzione che lo sbarco maggiore sarebbe avvenuto attorno a Calais. Questo errore fu così tenace che ancora diversi giorni dopo il D-Day i Tedeschi esitavano a trasferire truppe dalla XV armata, dislocata appunto verso Calais, alla VII dislocata in Normandia.
Non era questo il solo dubbio dei Tedeschi, ve n'era un'altro attinente alla strategia da adottare per controbattere l'imminente offensiva. Rommel, comandante del gruppo di armate B, voleva la difesa sulla costa, il maresciallo Von Rundstedt, nominalmente superiore a Rommel perchè comandava l'intero settore occidentale, propendeva per una difesa più manovrata, ma per manovrare, sia nell'ipotesi di Rommel che in quella di Von Rundstedt, occorreva un minimo di protezione aerea di cui i Tedeschi non disponevano più. L'assenza di Rommel (che si era recato a visitare la famiglia) proprio il giorno dello sbarco rappresentò un ulteriore handicap per i Tedeschi.
Contro le forze di prima schiera di Eisenhower i Tedeschi, anche a non voler tener conto della schiacciante superiorità alleata in cielo, non erano neppure localmente preponderanti. Sui più che trecento chilometri della costa normanna a ovest della Senna avevano schierato sei divisioni, quattro delle quali di difesa costiera. Tre nella penisola di Cotentin, con il porto di Cherbourg, due tra la penisola e Caen (su di esse si sarebbe abbattuta la maggiore ondata d'invasione), una tra la foce dell'Orne e l'estuario della Senna. Visto nel suo complesso l'esercito tedesco d'occidente poteva ancora sembrare formidabile: 59 divisioni, 8 delle quali dislocate in Olanda e Belgio, ma per più della metà considerate di difesa costiera e di addestramento, e dieci soltanto corazzate. |
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Sopra: un imponente schieramento di navi e mezzi da sbarco davanti alla spiaggia di Omaha, occupata dagli Americani.
A lato: il maresciallo Erwin Rommel (terzo da sinistra) esamina con il suo Stato Maggiore i piani di difesa della Normandia (febbraio 1944) |
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Forse Eisenhower fu soltanto, come molti storici sostengono, un buon coordinatore e organizzatore, non uno stratega. Ma nei giorni che precedettero immediatamente l'attacco dovette prendere autonomamente due decisioni gravi. La prima riguardava l'impiego di due divisioni di paracadutisti per la conquista della penisola di Cotentin. I reparti americani che sarebbero sbarcati sulla spiaggia fissata nella storia con il nome convenzionale di "Utah" avrebbero avuto il cammino verso l'interno sbarrato da una laguna, percorribile soltanto attraverso passaggi obbligati. Era necessario che l'uscita di quei passaggi fosse assicurata e difesa, prima che i Tedeschi vi si appostassero: compito affidato appunto alle due divisioni aerotrasportate. Il marescallo dell'aria inglese Leigh-Mallory era contrario all'operazione, secondo lui troppo rischiosa. Eisenhower, che aveva trasferito il suo quartier generale a Portsmouth in roulottes e tende (si era ormai agli ultimi di maggio) si risolse per il si, e per sollevare Leigh-Mallory da ogni responsabilità gli trasmise l'ordine per iscritto.
Ancor più angosciosa la seconda decisione che a Eisenhower era demandata e concerneva la data dello sbarco. Il 4 giugno all'alba (era ancora buio pesto) i comandanti delle grandi unità e gli esperti di metereologia erano davanti a Eisenhower per informarlo e ricevere disposizioni. Il tempo previsto era pessimo: dense nubi, venti tesi, mare agitato. Montgomery insistette per lo sbarco il giorno 5, Tedder dissentiva e Ike fu per il rinvio. Era una decisione penosa, cinquemila navi di ogni specie, alcune delle quali trasportavano nel grembo 1500 imbarcazioni minori erano pronte a muoversi, 702 unità da guerra erano in stato di allarme. Molte navi, che erano già salpate dai porti a nord dell'isola, dovettero tornare a fare rifornimento. I soldati, ammassati nei natanti, soffrivano il mal di mare.
Alle 3,30 della notte sul 5 giugno ci fu un'altra riunione, nella tenda dello Stato Maggiore, a più di un chilometro di distanza dalla roulotte del comandante in capo (composta da tre vani: camera da letto, un salottino e uno studio). Il tempo era inclemente, con raffiche di vento e pioggia torrenziale. Ike si avviò verso la grande tenda con il cuore stretto dallo sconforto. Il colonnello Stagg, capo dei metereologi della Royal Air Force, riassunse le sue previsioni: le condizioni del tempo sarebbero migliorate fino alla mattina del giorno dopo, il 6, dopodiché avrebbero ripreso a peggiorare.
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La discussione che seguì fu, nella sua pacatezza, carica di tensione. Tedder e Leigh-Mallory erano preoccupati dal tetto di nuvolaglia, l'ammiraglio Ramsay esigeva una decisione entro mezz'ora perchè più tardi sarebbe atato impossibile rispettare la tabella di marcia, ove il D-Day fosse stato il 6 giugno. Montgomery insistette affinchè non si soprassedesse, Eisenhower riflettè e quindi, secondo il famoso resoconto di Cornelius Ryan in "Il giorno più lungo" (scrisse anche "Quell'ultimo ponte" legato alla presa del ponte di Arnhem, in Olanda, con l'operazione denominata "Market Garden"), emise la sua sentenza con una frase pronunciata a pezzi e bocconi: "Non mi va, ma... ecco... non mi sembra che abbiamo altra scelta". Erano le 4,15 del 5 giugno e l'immensa macchina si mosse. Era già previsto che, in attesa della conquista e dello sgombero di un numero sufficiente di porti francesi, fossero allestiti ancoraggi protetti di emergenza, del tipo "gooseberry" (uva spina) costituiti da una linea di navi affondate, o del tipo "mulberry" (mora) costituiti da scafi di cemento, molto pesanti, da affondare come nel precedente caso. Questi scafi, in sostanza dighe provvisorie, sarebbero stati portati sulla costa normanna in pezzi prefabbricati e lì montati rapidamente. |
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Dal 6 giugno al 25 luglio venne combattuta la "battaglia della testa di sbarco". Montgomery sapeva di avere di fronte Rommel che, anche contro il parere di Von Rundstedt, conduceva le cose a modo suo: previde perciò che l'azione nemica sarebbe stata caratterizzata da continui attacchi eseguiti da qualsiasi reparto che si fosse trovato immediatamente disponibile e che il nemico, proprio per il temperamento della "volpe del deserto", non avrebbe scelto una robusta linea difensiva naturale per organizzare con calma e pazienza il maggior numero di forze possibile. In realtà le cose andarono, in campo tedesco, assai peggio di quanto Eisenhower e Montgomery potessero pronosticare e sperare. Rassicurato, a torto del maltempo, Rommel era lontano, le fortificazioni del Vallo Atlantico erano assai meno robuste di quanto la propaganda volesse far credere e Hitler - che pure aveva intuito la scelta della Normandia per lo sbarco - era più un visionario che uno stratega, ormai.
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I generali Eisenhower (a sinistra), Marshall e Bradley e l'ammiraglio King (ultimo a destra) ispezionano il fronte in Normandia.
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I Tedeschi erano all'erta. Avevano intercettato le comunicazioni di radio Londra che ripetevano, in due riprese, i versi di Verlaine che avrebbero annunciato l'invasione. I servizi segreti germanici avevano intuito il significato del messaggio alla Resistenza francese. Il primo "Les sanglots longs des violons de l'automne" era stato diffuso il primo giugno, il secondo, "Blessent mon coeur d'une langueur monotone" fu captato alle 22,15 del 5 giugno. Ma dell'importanza di questo annuncio si rese conto, in un primo momento, soltanto il colonnello Meyer, che dirigeva il controspionaggio della XV armata, quella che presidiava la zona intorno a Calais. La VII armata ne rimase all'oscuro e il Quartier generale di Rommel e di Von Rundstedt non agì con sufficiente rapidità, né seppe orientarsi. Quando già, nel corso della notte sul 6, i sintomi d'invasione si moltiplicavano, paracadutisti cominciavano a calare in territorio francese e unità navali in movimento erano avvistate al largo, al Quartier generale di Rommel si insisteva a ritenere che l'operazione non dovesse essere considerata di vasta portata. |
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Alle 5 di quel fatidico 6 giugno le unità navali cominciarono a bombardare i punti di sbarco sulla costa che, da est a ovest (ossia da Le Havre verso Cherbourg) erano stati convenzionalmente denominati Sword, Juno, Gold (settore assegnato alle truppe britanniche e canadesi), Omaha e Utah (settore assegnato alle truppe americane). Con la protezione di una massa di fuoco quale mai si era vista nella storia, scaricata dalle navi e dalle fortezze volanti, i soldati alleati saltarono dai mezzi da sbarco su quello che Mussolini chiamava "il bagnasciuga" e riuscirono a mettere piede sul suolo francese, anche se la resistenza tedesca si dimostrò vigorosa. Gli Inglesi si attestarono saldamente ma, scontratisi con la forte 29a divisione panzer, non raggiunsero Caen, che era il loro maggiore obiettivo, e dovettero sospirare per settimane quella conquista. Gli Americani furono in grado di allargare abbastanza rapidamente il loro caposaldo, a Utah; ma a Omaha beach il contatto col nemico si tradusse, per la prima ondata, in un massacro e la seconda dovette lottare disperatamente. Comunque alle 10 del mattino si poteva dire con sicurezza che gli Angloamericani non sarebbero stati ricacciati indietro. Eisenhower fu in grado di buttare nel cestino il comunicato ("i nostri sbarchi non sono riusciti ad assicurare un soddisfacente punto d'appoggio e ho ritirato le truppe") che aveva prudentemente preparato in caso d'insuccesso.
In quelle stesse ore a Berchtesgaden, al Quartier generale di Hitler, si discuteva se convenisse o no svegliare il Fürer, che si era coricato tardi dopo una delle sue interminabili conversazioni-monologo. Si decise di aspettare un po' e così prezioso tempo andò perduto e altro se ne perse per muovere le unità corazzate la cui utilizzazione Hitler aveva riservato soltanto a sé stesso. Ma nella mattinata il Quartier generale di Rommel, pur in assenza del comandante che stava tornando precipitosamente, rimase abbastanza ottimista. Era difficile per gli ufficiali di Rommel e di Von Rundstedt, rendersi conto dell'imponenza delle forze ammassate per l'assalto alla fortezza europea. Dietro ai 250.000 uomini delle prime linee era pronto un esercito di tre milioni di soldati, per più della metà americani; e poi un milione di anglo-canadesi e inoltre francesi liberi, polacchi, cechi, belgi e olandesi. |
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A sera le teste di ponte erano stabilizzate. Non avendo perduto Caen, i Tedeschi erano riusciti a mantenere collegamenti sufficientemente agevoli tra la VII armata, nella zona attaccata e la XV armata, anche se il dominio del cielo da parte degli Alleati li costringeva a muoversi soltanto di notte. Ma dopo un'iniziale euforia, il capo di Stato Maggiore di Rommel, generale Speidel, capì che gli Alleati non sarebbero stati ricacciati in mare. Non era, questa, un'operazione tipo Dieppe; era la grande invasione!
L'indomani dello sbarco Eisenhower, personalmente coraggioso, ispezionava già la spiaggia di Omaha. Il 12 giugno, mentre la prima bomba volante V1 piombava su Londra, anche il capo di Stato Maggiore americano generale Marshall, arrivato dagli Stati Uniti, era accompagnato da Eisenhower in ispezione alle truppe attaccanti. I mezzi da sbarco continuavano a rovesciare sulla Normandia armi e uomini con una profusione impressionante, mentre le zone conquistate si andavano allargando. Montgomery, spiccio nella decisione (premeva per lo sbarco) ma cauto fin troppo nell'azione, perse insieme a quella di Caen qualche altra preziosa occasione. Il famoso critico militare inglese Liddel Hart ha così riassunto gli errori di "Monty": "Era previsto che sull'ala destra inglese una formazione corazzata effettuasse una immediata penetrazione nell'entroterra in maniera da raggiungere Villers-Becage, a circa 30 km dalla costa e interrompere le strade che si diramavano da Caen in direzione ovest e sud-ovest. Il fatto è che si tardò troppo a dare il via a questa penetrazione e ciò sebbene, una volta superate le difese costiere, la difesa a ovest di Caen fosse trascurabile. In seguito si apprese da prigionieri che per i primi tre giorni a presidiare un tratto di fronte largo quindici chilometri si trovava soltanto un'unità mobile tedesca, un battaglione da ricognizione". |
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La mappa illustra gli spostamenti delle truppe alleate a partire dal giorno dello sbarco il 6 giugno, fino ad agosto 1944. |
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I Tedeschi erano handicappati dalla inesistenza della Luftwaffe e dal timore, durato a lungo, che un altro sbarco seguisse al passo di Calais (il che rese tardivo lo spostamento di rinforzi e riserve tra le due armate dislocate in quei settori); ma si battevano in più di un punto molto bene. Eisenhower, che aveva ancora il suo quartier generale a Portsmouth alla fine di giugno e che faceva instancabilmente la spola tra l'Inghilterra e la testa di sbarco, non era contento di come le cose andavano sull'ala sinistra, quella di Montgomery. Gli inglesi non erano riusciti a sfondare e il compito di aprire un cuneo profondo era stato perciò affidato agli Americani. Dopo che a metà luglio una terrificante offensiva di Montgomery con tre divisioni corazzate aveva fallito il suo fine di spezzare il fronte tedesco, "Ike era fuori dalla grazia di Dio", come ha riferito il suo fido aiutante Butcher e Tedder lo aveva informato da Londta che "i capi di Stato Maggiore inglesi erano pronti a esonerare Montgomery se solo egli lo avesse richiesto".
Finalmente il 31 luglio, dopo uno spaventoso bombardamento a tappeto degli Americani (che nel frattempo avevano preso Cherbourg), nel settore di Saint-Lo, avvenne lo sfondamento. Le truppe del generale Bradley (la 1a armata americana) passarono attraverso la stretta di Avaranches e dilagarono. In quella stessa fase della guerra il leggendario Patton si schierò ed entrò in azione con la sua terza armata, collocata sulla destra della prima. Ma secondo il puntiglioso Liddel Hart anche gli Americani persero un autobus, dopo la breccia di Avaranches, perchè "solo pochi e dispersi battaglioni tedeschi coprivano il territorio largo più di 150 chilometri tra quella località e la Loira". Una fedeltà senza fantasia ai piani originali fece sprecare questa occasione d'oro a un Comando che comunque sapeva di non correre più rischi: la fine tedesca era solo questione di tempo.
Dal momento dello sfondamento di Avaranches in poi gli Alleati lanciarono le loro colonne di ferro e fuoco contro un nemico che, immobilizzato troppo a lungo dagli insensati ordini di Hitler di resistenza a oltranza (ma nessuno avrebbe potuto rimediare a una situazione disperata) si trovava in condizioni di tragica inferiorità. Le forze anglo-americane in Francia crescevano a un ritmo che attestava la capacità straordinaria della macchina organizzativa alleata: 35 divisioni il primo agosto, 54 il primo ottobre, 82 in dicembre. Ai primi di settembre (persa Parigi che era caduta nelle mani di Eisenhower il 25 agosto) i Tedeschi avevano, sull'intero fronte francese, un centinaio di carri armati atti al combattimento e 570 aerei contro 2000 carri armati e 14000 aerei nemici. Sarebbero stati tuttavia capaci di sferrare l'offensiva delle Ardenne: la zampata estrema di una tigre moribonda. |
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Testo di Mario Cervi |
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