Vajont

Pordenone

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Cartografia
Cronologia
Antefatto
La valle del T. Vajont mette in comunicazione l'ampio solco vallivo del Piave con la pianura friulana attraverso la val Cellina. E' una valle stretta, caratterizzata da versanti scoscesi e dirupati; in corrispondenza a modesti ripiani, presenti sia sulla sponda destra che sinistra del torrente, sorgono i paesi di Casso e Erto e le borgate di Le Spesse, S. Martino, Prada, Liron e La Pineda. A cavallo tra gli anni '50 e '60, a poche centinaia di metri a monte della confluenza con il Piave, il torrente fu sbarrato da una diga per scopi idroelettrici. Tale impianto non entrò mai in funzione perché una gigantesca frana, staccatasi dal monte Toc, colmò parzialmente il serbatoio, provocando una terribile ondata; i paesi lungo il lago, Longarone ed altri abitati nella valle del Piave vennero rasi al suolo, con un tragico bilancio di oltre 2000 morti.

Geologia e morfologia
Una monagna, se paragonata ad un essere vivente, ci appare come un'entità immutabile e inanimata; in realtà il paesaggio ha una sua vita, si trasforma e si rinnova continuamente. In genere queste trasformazioni naturali avvengono in tempi lunghissimi e sono quindi impercettibili; a volte però si verificano delle modifiche repentine e di grande portata che diventano vere e proprie catastrofi se colpiscono l'uomo e le sue attività.
La frana del Vajont non è che il più recente e tragico capitolo della complessa e lunga storia della vita di una montagna, durante la quale le rocce si formarono, vennero sollevate e quindi erose; in questa storia si possono anche rinvenire alcune delle cause che hanno preparato l'evento franoso.

La formazione delle rocce
165 milioni di anni fa, l'area del monte Toc e quella della valle del Vajont erano parte di una estesa scarpata sottomarina che fungeva da collegamento tra una zona di mare basso ed una di mare profondo (700-1000 m.).

In un primo tempo tale scarpata venne incisa da frequenti fenomeni franosi che, trasportando verso il basso i materiali accumulatisi nel mare poco profondo, consentirono la formazione di rocce calcaree omogenee. In seguito, essendo divenuti gli eventi franosi sottomarini più rari e di modesta entità, i depositi si organizzarono in modo diverso: sottili strati di calcare si alternarono ripetutamente a livelli di argilla e fango carbonatico.

La successione di rocce così creatasi è in genere un potenziale elemento di instabilità del rilievo; ed infatti, la frana del monte Toc, lasciando inalterato il basamento formato dalle rocce calcaree omogenee, ha coinvolto proprio la fitta e disomogenea alternanza di calcari e argille; queste ultime, inoltre, durante il moto della frana hanno agito come materiali lubrificanti agevolando lo scivolamento.

Il sollevamento delle rocce
A partire da circa 30 milioni di anni fa, i calcari e le alternanze di calcari e di argille vennero piegati, fratturati e successivamente sollevati in seguito all'azione di forze interne alla terra che diedero origine alla catena delle Alpi.

In seguito a tali sconvolgimenti, le rocce, che andarono a costituire le pendici del monte Toc, divennero molto inclinate. Anche tale situazione determina solitamente una certa instabilità del rilievo: ed infatti la superficie di distacco della frana venne a coincidere proprio con il piano inclinato che sale dalla valle verso la cima del monte Toc (disegno 1).
Disegno 1 - Veduta della valle del Vajont da ovest verso est dopo la caduta della frana del 9 ottobre 1963. Si notino la nicchia e l'accumulo sotto cui venne sepolta anche parte della strada Longarone-Erto. Disegno 2 - Veduta della valle del Vajont da ovest verso est durante la costruzione della diga. In primo piano si vedono gli strati che, orizzontali nel fondo valle, diventano molto inclinati verso la cima del monte Toc.
L'erosione delle rocce
Il sollevamento della catena Alpina e quindi anche delle nostre montagne, diede il via all'azione dei ghiaciai, delle acque, del vento e dei fenomeni franosi che, nel corso degli ultimi 2 milioni di anni, hanno variamente modellato i versanti dando alla valle del Vajont un aspetto simile a quello presentato nel disegno 2, in cui è stato ricostruito il paesaggio così come doveva apparire durante la costruzione della diga.
Nel giro di pochi anni, dal '57 al '63, la montagna e il paesaggio della valle del Vajont vennero modificati radicalmente per ben due volte dall'azione dell'uomo e della natura.
In un primo tempo le gole, i prati e i coltivi, presenti sugli scoscesi versanti della valle, vennero sepolti nel lago artificiale sotto circa 150 metri d'acqua; successivamente, la frana del monte Toc trasformò in un colle quello che era stato un tratto di valle (disegno 1).
La frana
Vajont, 9 ottobre 1963, ore 22:45
"Un sasso è caduto in un bicchiere colmo d'acqua e l'acqua è traboccata sulla tovaglia. Tutto qui. Solo che il bicchiere era alto centinaia di metri e il sasso era grande come una montagna e di sotto, sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi".
(Dino Buzzati, Corriere della Sera, venerdì 11 ottobre 1963).
La frana che si staccò dalle pendici settentrionali del monte Toc aveva dimensioni gigantesche: con un fronte superiore a 2 chilometri, una larghezza di almeno 500 metri ed un'altezza di circa 250. Essa trasportò a valle oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti.

E' come se, su una superficie pari a 2000 campi di calcio, si riversasse uno strato di materiale alto circa 2,5 volte il campanile di San Marco. Tale massa, se venisse asportata da 100 camion, calerebbe di 1 metro al giorno: a tali ritmi, per rimuoverla tutta, sarebbero necessari ben 7 secoli!!!

La frana aveva, oltre alle enormi dimensioni, anche un'elevata velocità: avanzando a circa 100 km/h, tale fu l'accelerazione che, in pochi secondi, risalì lungo il versante opposto per più di 100 metri, sbarrando la valle e modificandola in maniera definitiva.

Al momento del distacco, l'altezza dell'acqua in prossimità della diga era pari a 240 metri e il serbatoio conteneva poco più di un terzo dell'invaso totale.

La forza d'urto della massa franat creò due ondate che si abbatterono una verso monte, spazzando i paesi lungo le rive del lago, e l'altra verso valle.

Quest'ultima superò lo sbarramento artificiale innalzandosi sopra di esso fino a lambire le case più basse del paese di Casso, poste a 240 metri sopra la diga; si incanalò quindi nella stretta gola del Vajont acquistando sempre maggiore velocità ed energia.

All'uscita della gola, la massa d'acqua, alta 70 metri e con una velocità di circa 96 km/h, si riversò nella valle del Piave radendo al suolo il paese di Longarone e alcuni villaggi vicini.

Le vittime di questo tragico disastro, avvenuto in meno di 5 minuti, furono 2018.

Pianta del lago del Vajont prima della caduta della frana del 9 ottobre 1963.
Pianta del lago del Vajont dopo il 9 ottobre 1963. Il segno rigato azzurro delimita l'onda che ha spazzato le rive del lago, mentre il segno rigato giallo indica la nicchia di distacco e il colore giallo pieno la massa franata.
Veduta della diga e del lago del Vajont prima del 9 ottobre 1963 Veduta della diga e dell'accumulo di frana dopo il 9 ottobre 1963.
La diga
Già all'inizio del secolo scorso alcune società private avevano intuito la possibilità di sfruttare in modo capillare le acque del bacino del Piave per produrre energia elettrica.
Tra gli anni '30 e '60 vennero formulati e via via perfezionati vari progetti che portarono alla realizzazione di una serie di sbarramenti, laghi artificiali e relative centrali idroelettriche in più località lungo il corso del Piave e dei suoi principali affluenti.
Venne pure avviata la costruzione di una complessa e grandiosa rete di condotte forzate che, collegando i vari invasi, consentiva di sfruttare più volte la stessa acqua.
In questa logica di utilizzazione razionale e capillare del bacino del Piave, la diga del Vajont assumeva un ruolo chiave: essa riceveva infatti le acque provenienti da tutti i serbatoi situati nell'alta valle del Piave, le quali venivano successivamente convogliate nel lago artificiale di val Gallina, serbatoio di carico sovrastante la centrale di Soverzene.
Proprio in relazione al suo importante ruolo, la diga del Vajont fu ripensata e ingrandita, diventando il progeto "Grande Vajont".
Diga ad arco

Altezza
Quota minima
Quota massima
Quota massimo invaso
Invaso totale
Invaso utile

Dati

264,6
262 m s.l.m.
725,5 m s.l.m.
722,5 m s.l.m.
168.715.000 mq
150.000.000 mq

Profilo della diga guardando verso monte e schizzo delle iniezioni di cemento fatte per ancorarla alla roccia della gola.
Nel 1957 la società SADE (Società Adriatica di Elettricità) di Venezia presentò il progetto definitivo e diede il via ai lavori che furono completati nel 1959. La diga, una costruzione ad arco alta 264,6 metri, era nel suo genere, la più grande del mondo e la seconda in assoluto. Dal 1960, iniziò il collaudo della diga con il riempimento del serbatoio. Già il primo invaso mise in luce una generale instabilità delle sponde del lago e soprattutto della sponda sinistra: il versante infatti mostrava segni i movimento quali alberi inclinati, fessure nel terreno e fenditure nei muri delle abitazioni; inoltre il 4 novembre del 1960 si staccò una frana che scivolò nel lago, mentre si delineò, in alto, una lunga frattura a forma di M che costituì la futura nicchia di distacco della frana del 9 ottobre 1963.
In seguito a tali eventi furono consultati diversi tecnici i quali notarono la possibilità che si verificassero altri distacchi. Essi formularono inoltre due ipotesi sul tipo di movimento: una prevedeva frammenti successivi di modeste dimensioni, l'altra un unico grande scivolamento. Quello che nessuno si aspettava fu la rapidità e la violenza con cui il fenomeno avvenne.
La tragedia del Vajont non potrà mai essere cancellata dalla memoria di questi luoghi e della gente che vi abita.
Sia essa di insegnamento e monito a rispettare la natura e i suoi delicati equilibri!
Alimentazione del lago artificiale del Vajont. Prima del 9 ottobre 1963, il serbatoio del Vajont raccogliev, oltre alle acque del torrente omonimo, amche quelle del Maè (val di Zoldo) e del Fiome piave; queste ultime, in caso di necessità, potevano essere deviate, con un ponte-tubo esterno alla diga, al serbatoio di val Gallina e quindi alla centrale di Soverzene.

Oggi la situazione è cambiata: le acque del residuo lago del Vajont vengono scaricate nella gola a valle della diga mediante una galleria by-pass; le acque provenienti dai laghi artificiali a monte, grazie ad una galleria scavata nei depositi di frana, sono invece convogliate al serbatoio di val Gallina.