Sassocorvaro
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Storia
Dopo la battaglia del Cesano del 1463, Federico da Montefeltro, nell’intento di rendere più sicuri i confini del ducato, predispose un piano di ristrutturazione delle rocche già esistenti nel Montefeltro e la costruzione di nuove fortezze nei punti più strategici.
Per questo imponente incarico, il duca scelse un architetto militare che era già al suo servizio. Si tratta di Francesco di Giorgio Martini, fatto venire in Urbino da Siena in qualità di esperto artificiere in grado di rendersi utile nell’attività campale feltresca.
Adempiuto il compito per cui era stato chiamato, Francesco aveva in seguito spostato la sua attenzione sulla ricerca architettonica di una struttura difensiva adeguata alla potenza della nuova offesa, rappresentata dall’invenzione della bombarda.
Il duca commissionò al senese la realizzazione di un totale di circa centotrentasei opere nel territorio feltresco, di cui lo stesso Francesco di Giorgio fa menzione nei suoi trattati.
Oggi, molte di queste fortezze sono perdute, a causa di distruzioni intenzionali, di manomissioni, di alterazioni e di saccheggi, abbattutisi su di esse nel corso dei secoli.
Intristiti da questa lunga serie di demolizioni, non ci resta che apprezzare maggiormente ed ammirare i pochi esemplari superstiti, tra i quali figura anche la fortezza che, con ogni probabilità, fu la prima tra quelle realizzate nel ducato da Francesco di Giorgio Martini: la Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro.
Negli anni Settanta del Quattrocento, Sassocorvaro era stato affidato da Federico al Conte Ottaviano degli Ubaldini. I lavori alla rocca dovettero iniziare nel periodo di permanenza del conte a Sassocorvaro e prima della sua morte nel 1498.
Fu dunque Ottaviano l’interlocutore con cui l’architetto senese dovette scendere a patti nel progettare quella che sarebbe diventata non solo una fortezza, ma anche la dimora signorile del committente.
All’interno della rocca, su porte, camini e finestre del Quattrocento, si vedono ancor oggi i nastri svolazzanti dei Montefeltro, ma lo stemma più ricorrente è quello che ricorda insieme la famiglia degli Ubaldini e quella dei Montefeltro. Sui soffitti delle stanze quattrocentesche e sulla facciata del palazzo signorile, inglobato nella rocca da Francesco di Giorgio e che si affaccia sul cortile d’onore, è scolpito uno stemma che raffigura in due dei quadranti le fasce trasversali dei Montefeltro; nel riquadro in alto a sinistra, il leone rampante dei Brancaleoni, famiglia a cui apparteneva la prima moglie del duca; in basso a destra una testa di cervo con una stella in mezzo alle corna, che la leggenda vuole sia diventata simbolo degli Ubaldini da quando, durante una battuta di caccia, un antenato ed omonimo di Ottaviano, vedendo un grosso cervo braccato dai cani scagliarsi contro l’imperatore Federico Barbarossa, si gettò sull’animale e, aggrappandosi alle corna, riuscì a metterlo a terra ai piedi dell’imperatore, che subito recise la gola del cervo. L’imperatore allora fece dono al valoroso Ottaviano della testa dell’animale e volle che diventasse il simbolo della sua discendenza. La stellina a otto punte fra le corna del cervo sarebbe invece un simbolo di buon auspicio.
A partire dal 1510, la rocca era diventata residenza della famiglia Doria di Genova, che la completò nella parte meridionale, quando Francesco di Giorgio era ormai scomparso da diversi anni. I lavori effettuati dai Doria in quella che fu la loro dimora per più di cento anni, sono testimoniati, tra l’altro, dagli stemmi impressi su porte, camini e finestre del Cinquecento , che recano la scritta "PHI D C" (Filippino Doria Conte), insieme all’aquila simbolo di quel ramo della famiglia genovese.
Una volta divenuta proprietà dello Stato Pontificio, Papa Alessandro VII, nel 1665, la concesse in enfiteusi alla famiglia De Boni da Borgopace. Dato però che la famiglia venne meno al pagamento del censo annuale concordato, Papa Clemente XI , nel 1706, decise di ritirare la rocca ai Boni e gratificarne Monsignor Giovanni Cristoforo Battelli, uno dei suoi Camerieri Segreti, di origine sassocorvarese.
Il Battelli lasciò varie tracce della sua permanenza nella rocca. Al di là delle modifiche architettoniche che qualcuno gli attribuisce, troviamo un significativo segno della sua presenza negli stemmi posti nella loggetta di accesso al piano nobile e all’ingresso della stanza che l’illustre prelato trasformò nel proprio studiolo. Da essi si evince la grande stima e considerazione di cui egli doveva godere presso il pontefice, il quale gli permetteva di fregiarsi dello stemma degli Albani o di usarne alcune parti. Il Battelli arricchì la loggia di due lapidi marmoree, di cui una porta iscritta una dedica al pontefice, mentre l’altra narra una breve storia della Rocca Ubaldinesca.
Alla morte del Battelli, la rocca rimase ai nipoti, finché, estinta la discendenza maschile, fu concessa ai figli delle quattro femmine dell’ultimo Battelli. Di essi solo il Nobile Signor Federico Massaioli viveva a Sassocorvaro ed amministrava la rocca e casa Battelli, situata nella via principale del centro storico, anche a nome dei cugini. Egli morì il 31 marzo del 1829. Forse fu l’ultimo dei condomini della rocca, divenuta nel frattempo "abbitazione per i sorci".
Nel 1861, con l’unificazione nazionale, la rocca venne dichiarata monumento nazionale e ceduta al Comune di Sassocorvaro, che vi fece installare dapprima i suoi uffici e poi fece adibire alcune stanze ad aule per le scuole secondarie, che vi rimasero fino al 1963.

Leggenda
Più che di una leggenda, la Rocca di Sassocorvaro è stata protagonista di una storia vera, simile a quelle raccontate da Le Carré o da Graham Greene. Nel corso della seconda guerra mondiale, a partire dall'8 giugno 1940 e per 5 anni, 3 mesi e 8 giorni, la Rocca fu nascondiglio sicuro per migliaia di capolavori dell' arte Italiana. Dai musei della Regione, ma anche da Venezia, da Milano, da Roma e persino dall' isola di Lagosta (Istria) arrivarono in gran segreto dipinti e sculture, ceramiche e avori, vetri e bronzi, reperti archeologici e arazzi, beni librari e spartiti musicali. La più grande concentrazione di opere d'arte mai vista nella storia dell'umanità viene nascosta e protetta dalla barbarie della guerra per poi essere restituitasana e salva alle rispettive sedi di origine. Scorrendo l'elenco dei capolavori salvati nella Rocca (e, in parte, a Carpegna e Urbino) si incontrano nomi prestigiosi di insigni maestri: Piero della Francesca, Mantegna, Giovanni Bellini, Luca Signorelli, Pietro Perugino, Raffaello, Lorenzo Lotto, Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Veronese, Rubens, Tiepolo, Guardi, Canaletto, Crivelli...
Coordinatore del salvataggio fu un giovane funzionario dello Stato, l'allora trentunenne soprintendente di Urbino Pasquale Rotondi, studioso insigne (tra l'altro, dirigerà in seguito l'Istituto Centrale del Restauro a Roma e sovrintenderà al restauro della Cappella Sistina) chiamato al ruolo inedito di 007.
Nel giugno 1996, a mezzo secolo dalla fine della guerra, la Rocca torna a ospitare idealmente i suoi capolavori con il progetto L'Arca dell'Arte culminante nella realizzazione di un museo che vive nel ricordo attivo di quelle pagine di storia leggendaria.