Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro
La prigionia nei documenti dell'Archivio di Stato di Pesaro

Lettera del conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo, al Cardinale De Zelada, 12 maggio 1791

(...) e parmi troppo necessaria una tale circospazione, trattandosi di dover fare con un uomo, che ha un fondo inarrivabile di furberia e raggiro, ed allora rimarrà certamente la Carcere del Pozzetto assai più salubre, anche al detto di questo dottore medico, che ho voluto che visiti, ed esamini con tutta attenzione, convenendo ancor esso, che la Carcere del Tesoro, ove di presente si custodisce Giuseppe Balsamo sia alquanto insalubre, si per l'aria, come per l'umidità, che seco portano le mura di essa fatte all'antica, con una scarpa grandissima, essendo questa, una di quelle tali Carceri fatta costruire ne barbari secoli, che li Malatesta possedevano questo Forte, ridotto indi a fortificazione più moderna da Guidubaldo secondo fu nostro Duca.
Sul proposito della barba, assicuro l'Eminenza Vostra di avere di già ben avvertito quel tale soldato, che lo serve di barba, che stia ben guardingo, se mai tentasse di volontariamente ferirsi, il che per altro non pare credibile, essendo questi un Uomo più amante del suo individuo più di qualunque altro, e che teme al sommo di morire, esso per altro col scarso suo pensare ha detto ieri appunto a questo dottore medico, che nella stessa sua Carcere, spoglia d'ogni arredo fuorché del necessario, vede occularmente in essa di versi Capi, co' quali se volesse, si potrebbe procurare la morte, e segnatamente cred'io la resistenza della muraglie, contro le quali potrebbe disperatamente e pazzamente battere il capo per uccidersi.
(...) Temendo io nello stato presente, come ebbi l'onore di esprimerli in altra mia, più di una sorpresa esterna, che di un interno tradimento, e ciò in vista di questo particolare Rilegato, che ha un'infinità di incogniti aderenti e fautori (...)

Lettera del conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo, al Cardinale De Zelada, 14 settembre 1791

(...) Non si è posto nella carcere del Pozzetto, se non che il di lui letto, con vaso per orinare, una sedia, ed il trecantone fissato nel muro per uso di tavola da mangiare. Tale trasporto sarebbe certamente stato eseguito prima ancora, ma siccome considerato che lo sportello di detta carcere, per l'antichità ammetteva qualche fessura, ho creduto bene farlo rifare di nuovo più stabile, e sicuro, con due piccole feritoie ben coperte, e nascoste, per dove all'occorrenza possa occultarmente dal caporale di guardia o mio subalterno spiarsi cosa faccia il Rilegato ivi custodito (...).

Lettera del conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo, al Cardinale De Zelada, 23 novembre 1791

(...) continuando costui a dipingere con somma velocità, senz'aiuto de' colori, e pennelli tutte le mura della di lui carcere, il che dice di fare per non poter stare inoperoso, ora che si è perfettamente rimesso dalli finti suoi incomodi di apoplessia, servendosi di colore della ruggine de ferri, e per pennelli della lana del materasso, che accomoda nelle paglie, come mi ha fatto ocularmente vedere, onde non potendosi ciò impedire, crederei di lasciarlo fare, quante volte non scrivesse sul muro cose scandalose e non potesse abusarsi con questo mezzo di scrivere cosa alcuna in carta o in tela che potesse uscire dalla di lui carcere: fra le molte insulse ed inconcludenti scritture e pitture, vedesi un emblema allusivo alle sue operazioni massoniche, che dallo stesso aiutante ho fatto racopiare, e che le verrà dal medesimo esibito, unitamente alla caviglia di ferro, che costui aveva svelta dal vecchio tavolato nella carcere del Pozzetto, ove al presente si va costruendo il nuovo, e che aveva occultata nel luogo accennato, con cattiva intenzione, se non si rimediava sul fatto a tale inconveniente.
Le visite e controvisite si fanno frequenti, il forte tavolato è stato svelto in un sol punto, e senz'aiuto alcuno d'istrumento corrispondente, poiché nulla se gli è rinvenuto nascosto, e perché ancora se fosse stato corredato di qualche altro forte della carcere, e non il tavolato del letto, e chiaramente si rileva che con questo aiuto, avrebbe forse tentata qualche violenza, o rottura, se non si fosse sul fatto prevenuta, ed impedita ogni sua intenzione: non so esprimere a S. E. il rammarico da me provato, nel sentire che dall'E. Segr. Di Stato, si attribuisca ogni più vigilante attenzione e premura, che incessantemente si usa sì da me, come da miei subalterni ad una poca custodia, che si abbia di costui, che è un vero estratto di malizia e furberia, per garantirsi dalla quale non basta ogni più oculata avvedutezza. Da questo solo veda a quanto giunge la di lui iniquità, dopo la visita di questa mattina, in un cartellone dipinto nel muro, che era bianco, in un'ora incirca ha scritta l'infame protesta, che ho fatta trascrivere dall'Aiutante medesimo, acciò che la porti a S.E., di cui ne farà quell'uso che crederà opportuno.
E frattanto nel fervorosamente raccomandarmi all'autorevole suo Patrocinio, con il solito profondo rispetto, m'inchino al bacio della sacra porpora (...).

Lettera del Tenente Pietro Bandini al cardinale Doria, 14 febbraio 1792

(...) costui si è messo in fantasia, che dopo la di lui venuta siano stati qui ristretti i capi partigiani del di lui rito massonico in numero di cinque o sei; che sia stata rilegara in questa città anche la di lui moglie, per cui quasi ogni giorno dà incombenza a soldati che gliela salutino e che si portino bene alla medesima con questo dippiù, che se dovesse essere strapazzata, volgino sopra di lui qualunque oltraggio e castigo, che farlo piombare sulla di lui amante consorte. Ieri volle digiunare a pane e vino; ed a questo uopo disse l'altra sera, che gli si portasse nel dì seguente cosa alcuna. Assecondato in questa richiesta, voleva poi iersera che gli si rendesse conto di ciò che aveva avuto; ma subito gli furono voltate le spalle.
Dopo che io gli presto il cibo, oggi solamente, eccettuaua la minestra che ha mangiata quasi tutta, ha rimandata indietro l'altre piattanze cioè il bollito, l'umido, ed antipasto, che sono regali del Tamburo, e ciò per far dispetto a chi glie l'ha somministrata.
Vorrebbe sempre una cucina a parte (...).