La notizia della morte di Cagliostro fu trasmessa a Roma dal conte Sempronio Semproni con la massima ufficialità:
Reco con questa mia umilissima alla E. V. la notizia qualmente nel giorno 26 dell'andante verso mezzogiorno, fu colpito da forte apoplessia il rilegato Giuseppe Balsamo detto Cagliostro: per cui fu dalla guardia ritrovato affatto privo di sentimenti e cognizione. Inutilmente furono da professori posti in opera i rimedi dell'arte per scuoterlo dal suo letargo, all'applicazione dei quali fu trovato insensibilissimo.
Infruttuosi egualmente riuscirono gli sforzi del parroco e dei sacerdoti per ottenere dal moribondo un qualche segno di ravvedimento. In tale stato sopravvisse fin circa le ore quattro della stessa sera in cui dovette cedere alla violenza del male e spirò. Per istruzione del nostro Mons. Vescovo è stato questi (per essere sempre vissuto con massime decise da vero eretico, né avere mai dati segni di respicenza) sepolto fuori di luogo sacro e senza formalità alcuna ecclesiastica.
Il mistero che ha avvolto la sua vita si trasforma addirittura in leggenda quando si tratta della morte e della sepoltura:
le ipotesi più suggestive contemplano la fuga in abiti da sacerdote, la morte cagionata dalla cadura dalla rupe, la misera sepoltura in una legnaia. Tuttavia, l'episodio più inquietante sembra essere accaduto nel 1797, quando la fortezza di San Leo si arrese onorevolmente all'Armata della Repubblica Cisalpina guidata dal generale Dombrowski che la occupò in suo nome.
Per celebrare l'impresa, in generale concesse libertà ai reclusi presenti nella fortezza e sembra che essi, unitisi ad alcuni soldati, cominciarono a scavare nel luogo in cui Cagliostro era stato sepolto. rinvenuti i poveri resti, si servirono del teschio per brindare alla riconquistata libertà.
Il macabro festeggiamento venne raccontato da un testimone oculare, il nonagenario Marco Perazzoni, morto nel 1882, all'età di novantasei anni che, interrogato dal prelato Oreglia di S. Stefano dichiarò: "Quando morì io avevo sette anni e mi ricordo benissimo il suo seppellimento. Il cadavere, tutto vestito, posto sopra una mezza porta di legno, venne portato a spalla da quattro uomini, i quali, usciti dal castello, scesero verso la spianata. Essi erano affaticati e sudavano (era di agosto) e, per riposarsi, ad un certo punto deposero il cadavere sopra il parapetto di un pozzetto, che ancora esiste, e andarono a bere un bicchiere di vino. Poi tornarono, ripresero il tragitto e giunsero al luogo dl seppellimento. Io - che ero tenuto per mano da un mio parente - seguii il triste e misero convoglio che, non assistito da nessun sacerdote, assumeva un sinistro carattere di diabolica desolazione. A quella vista i rari passanti si allontanavano frettolosi facendosi il segno della croce. Scavata la fossa, vi calarono il morto: sotto il capo misero un grosso sasso e sul viso un vecchio fazzoletto, quindi lo ricopersero di terra. Quel vecchio fazzoletto rappresentava la pietà umana. Qualche anno dopo vennero i polacchi ad occupare il forte e dettero la libertà ai condannati, che scavata la fossa insieme a dei soldati, presero il cranio del Cagliostro e vi bevvero dentro, nella cantina del conte Nardini di San Leo (L. Rusticucci, Prigionia e morte di Cagliostro nella fortezza di San Leo, Guaraldi Editore, Rimini, 1993).