Informazioni:
Il territorio delle Prealpi Vicentine, nello straordinario scenario montano e pedemontano incluso tra i limiti naturali che cingono a ovest la vallata dell'Agno e ad est quella del Brenta è ancor oggi fortemente connotato dalle testimonianze del patrimonio storico di uno degli episodi più tragicamente importanti dell'intera storia dell'umanità: la Grande Guerra.
Proprio quell'evento ha fortemente e indissolubilmente connptato l'ambiente incorporandolo definitivamente nella storia. In questi luoghi, forse più che altrove, la natura è la natura trasformati dagli uomini: è storia.
Così segnato è questo territorio dalla storia del sacrificio umano, così diffuse ed estese sono le tracce che gli avvenimenti epocali della Grande Guerra hanno lasciato, che questo ambiente non è più solo un semplice fatto di natura, ma natura segnata dall'azione determinante dell'uomo e, per questa via assume il significato di memoria collettiva, il valore di bene cultrale.
Vi è dunque una sorta di vocazione di questo territorio ad avere una organizzazione di un quadro ambientale incorporato con l'elemento indispensabile per la sua stessa vita: la memoria della Grande Guerra.
La tutela e la valorizzazione di questo patrimonio è qui presentata attraverso l'Ecomuseo della Grande Guerra delle Prealpi Vicentine; un museo sull'ambiente e sull'uomo in cui l'analisi e l'interpretazione delle drammatiche vicende umane che si sono compiute, ha senso solo in rapporto alla lettura del territorio storico. l'Ecomuseo della Grande Guerra nelle Prealpi Vicentine promuove la funzione di una educazione al patrimonio che recuperi adeguatamente la dimensione paesaggistica e storica nella quale le testimonianze sono indissolubilmente presenti, facendone una delle più importanti espressioni culturali di questo specifico territorio e della sua storia. |
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I luoghi dell'Ecomuseo:
1 Ortigara
2 Campo Gallina
3 Melette di Foza
4 Monte Zebio
5 Monte Zovetto, Lemerle, Val Magnaboschi
6 Forte Interrotto
7 Forte Campolongo
8 Forte Corbin
9 Forte Lisser
10 Forte Verena
11 Fortino Coldarco
12 Monte Cengio
13 Monte Cimone
14 Forte Campomolon
15 Monte Majo, Monte Maggio, Coston dei Laghi
16 Forte Casa Ratti
17 Monte Pasubio
18 Monte Novegno, Priaforà
19 Alpe di Campogrosso, Colle della Gazza, Monte Civillina
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Il Pasubio: inquadramento storico ambientale
Perno centrale delle Prealpi Venete, il Pasubio è un massiccio calcareo, compatto dalla possente struttura perfettamente circoscritta ed esaltata da profondi solchi vallivi che gli conferiscono una precisa identità. L'insieme del massiccio è infatti circoscritto dalle vallate del Lèogra, del Posina, del Leno di Terragnolo e del Leno Vallarsa. Le pendici del monte sono molto scoscese, di carattere prettamente dolomitico e dalle caratteristiche guglie, forre e gole, soprattutto sul versante meridionale. La parte sommitale è invece un ampio e ondeggiato altipiano in cui si alternano crinali brulli e rocciosi ed ampie conche prative, con una serie di alture superiori ai 2000 metri di quota.
La displuviale è costituita da una serie di cime che, dal Soglio dell'Incudine (mt. 2114) vanno al Col Santo (mt. 2112), attraverso Cima Palon (mt. 2232) massima sommità del massiccio, passando per i Denti italiano e austriaco (mt. 2220 e mt. 2203), M.te Poite (mt. 2144) e M.te Teso (mt. 1998). Dall'asse principale di cresta si staccano vari rami culminanti sul M.te Forni Alti (mt. 2023), sul m.te Corno di Pasubio (mt. 2141) e sul m.te Roite, , che insieme ad altre cime minori creano vaste conche fra le quali l'Alpe Pozze, l'Alpe Cosmagnon e, verso le Porte, l'Alpe Pasubio. Dalla cima del Palon si gode uno scenario meraviglioso, lo sguardo può spaziare sulla pianura vicentina e veneta fino alla laguna di Venezia e all'Appennino emiliano, sugli Altipiani di Asiago e di Tonezza, sulle dolomiti bellunesi e trentine, sui ghiacciai dell'Adamello e della Presanella, sui gruppi del Sengio Alto, Carega e Tre Croci, sul M.te Baldo e Lessini veronesi. Una grandiosa rete di strade, mulattiere e sentieri percorre il massiccio da ogni lato, fornendo una vastissima gamma di itinerari d'accesso.
L'attuale limite amministrativo fra le province di Vicenza e di Trento ricalca esattamente anche sul Pasubio il confine politico esistente fino al 1918 fra Italia e Austria-Ungheria. Fu questa la premessa all'eccezionale ruolo strategico che questo luogo ricoperse durante la Grande Guerra, diventando "la montagna più accanitamente contesa fra tutte sul fronte alpino".
Tra la fine del maggio 1915 e il successivo dicembre, le truppe italiane, contestualmente alla progressiva ritirata delle esigue forze austroungariche, occuparono l'intero massiccio del Pasubio arrivando a breve distanza da Rovereto. Simile avanzata compiuta in un settore al quale era stato affidato un compito strettamente difensivo, assunse allora aspetti esaltanti, costringendo però a fermarsi davanti alla linea di massimo arretramento prevista dagli Imperiali. Linea dalla quale gli austro-ungarici, il 15 maggio 1916, sferrarono la grande "Offensiva di Primavera" destinata a passare alla storia col termine di "Strafexpedition", ormai unanimamente riconosciuta come una delle più grandi battaglie che mai si siano combattute in montagna.
Cominciava esattamente in questo momento l'epopea del Pasubio. Nel volgere di pochi giorni la battaglia si trasferiva sul Col Santo e successivamente sulla sommità del monte; nel contempo attraverso le valli sottostanti gli Austro-Ungarici tentavano l'avvolgimento e, mentre in Vallarsa la loro pressione veniva bloccata all'altezza degli abitati di Parrocchia e Zondri, non altrettanto accadeva in Val Posina, dove essi si accostarono pericolosamente al Colle Xomo e a Bocchetta Campiglia, intercettando la rotabile degli Scarrubi.
Sul versante occidentale gli Austriaci riuscivano ad impradonirsi quasi per intero dell'Alpe di Cosmagnon e del Ciglione Lora-Sogi. Al centro lo scontro si stabilizzava su due sommità rocciose che torvamente si fronteggiavano: fino a quel momento prive di nome, diverranno celebri come Dente Italiano e Dente Austriaco.
Su queste posizioni, strenuamente difese dagli italiani, il 17 giugno 1916 si esauriva lo slancio dell'offensiva austroungarica che, mancata la conquista del Pasubio, pesò in maniera determinante sul suo sostanziale fallimento.
Da allora il Pasubio divenne il protagonista di una grandiosa vicenda storica che non trova paragoni sull'intera fronte tridentina e che trasformerà la montagna in quella che un combattente austriaco non esitò a definire "la caldaia delle streghe".
Sull'asprezza dei combattimenti avvenuti sul Pasubio le versioni tratte dai racconti, dalle memorie e dai diari sono concordi e si muovono tutte nello sfondo di un'allucinante tragicità.
Dal giugno del 1916 al novembre 1918 la vita su questo monte superò ogni possibilità di umana sopportazione.
"Il vivere fu ben più duro che il morire".
Valga per tutti il racconto che, l'allora tenente Michele Campana nel suo "Un anno sul Pasubio" ci lascia di uno delle centinaia di episodi della battaglia combattuta fra italiani e imperiali dal 9 marzo al 20 ottobre 1916 per il possesso del Dente Austriaco:
"Due batterie di nostre bombarde concentravano il fuoco sul camminamento che dalla "Casermette difensiva" conduce al Dente. Vedemmo fra i nugoli di fumo saltar per aria pezzi d'uomini. In uno scoppio si scorsero proprio soltanto due gambe nel cielo divaricarsi. Tutta l'intera colonna di nemici venne a farsi maciullare così, in quel passaggio obbligato dove minuto per minuto cadeva una nostra bombarda... Nessuno potrà mai dare una pallida idea della terribilità di quella mischia. Alcuni momenti si vedevano uomini avviticchiarsi. Un obice faceva saltare in aria amici e nemici. La morte li coglieva insieme, nella stretta dell'odio. I duecento metri del Dente erano divenuti un formichio di esseri, non umani, ma sovrannaturali; demoni certo che correvano fra le rovine; sopravvivevano tra le fiamme delle bombe a mano e le eruzioni delle granate".
Nella vastissima memorialistica della guerra sul Pasubio ci sono pagine, come questa, che fanno un quadro di tutti i martìri, di tutte le crudeltà, di tutte le sofferenze e degli aspetti più spietati di una lotta che non aveva più niente di umano. Ad inasprire questa sorta di immenso calvario contribuì la natura ostile, che si accanì con terribili avversità. Inverni con temperature fino a 35 gradi sotto zero e abbondantissime nevicate, con spessori di quasi 10 metri, mutarono spesso l'aspetto della montagna; frane e valanghe seppellirono interi reparti rendendo proibitivi i già difficili accessi al monte. |
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